giovedì 7 dicembre 2017

Cento anni dalla rivoluzione della minoranza bolscevica in Russia: le critiche dei socialisti italiani e inglesi (Conclusioni)

Conclusioni

Questo breve saggio non ha l'ambizione di essere un resoconto storico completo. Lo scopo principale di questo testo è quello di riportare alla luce in un contesto di sinistra socialista, marxista, intransigente, la critica al leninismo successiva i fatti di "Ottobre". L'aspetto cronologico è fondamentalmente, in questo caso, perché fare gli opinionisti col senno di poi su posizioni e idee generatesi durante l'accadimento dei fatti, è scorretto da ogni punto di vista. Negli articoli esposti è chiaro che dopo un periodo di incertezza avendo notizie molto approssimative sugli accadimenti russi, il socialisti unitari, così come i socialisti del SPGB, assunsero una posizione molto critica nei confronti della dittatura bolscevica; mentre i massimalisti italiani accettarono a pieno il leninismo e si divisero principalmente sull’uso del parlamento, prima, e sulla modalità di collaborazione con i riformisti poi. Ovviamente le nostre idee si basano sia sul riscontro della dottrina marxista quanto sugli sviluppi e i risultati di sconvolgimenti sociali quali anche quelli determinati dal bolscevismo in Russia. 
È immediato notare una certa similarità nelle critiche dei socialisti unitari italiani e degli impossibilisti inglesi. L’immaturità delle condizioni economiche, il potere nelle mani di una minoranza e l’utilizzo inappropriato del termine dittatura del proletariato, per giustificare la dittatura di una minoranza, infine l’uso del terrore. In Treves, almeno negli articoli riportati, che ricordiamo sono subito successivi la rivoluzione, più che in Mondolfo e Turati, c’è una sorta di giustificazione delle azioni di Lenin e soltanto un ammonimento della sua applicabilità solo alla situazione russa. Nei tre socialisti unitari, troviamo molti elementi di critica comuni a quelli presenti nel SPGB. La mitizzazione del Soviet, e della sua democraticità, la mancanza di condizioni economiche per poter parlare di instaurazione del socialismo, e ripiegamento sul capitalismo. Turati, Treves, Modigliani e gli altri socialisti unitari, furono presto al centro della polemica tra i bolscevichi e i massimalisti italiani, in merito ai 21 punti per l’ammissione del PSI nella Terza Internazionale e la condizione necessaria di estromissione di tali riformisti dal partito. La loro critica venne quindi vista come quella di social-traditori alla Kautsky del resto.
Come già accennato nel preambolo, nonostante le similarità delle critiche da parte dei socialisti unitari e di quelli inglesi del SPGB, paragonare uno a uno il PSI al SPGB in termini di seguito nelle masse non sarebbe storicamente corretto. Per attenersi a quel periodo il PSI aveva ottenuto 883.409 voti (17,62%) nel 1913; e 1.834.792 voti (32,28%) nel 1919, aveva una grande presenza nei sindacati confederali, soprattutto la frazione unitaria; mentre il SPGB non raccoglierà voti nelle elezioni generali fino al 1945; in più il SPGB (probabilmente sui 150-200 membri all’epoca) era un partito fisiologicamente più piccolo del PSI, che aveva 200.000 iscritti nel 1920. D’altro canto si potrebbe dire che non scendere a compromessi si paga in popolarità.
Questa analisi non vuol fare nemmeno un’associazione tra gli impossibiliti inglesi, ai quali il nostro Movimento Socialista Mondiale si rifà, e i riformisti italiani. I socialisti unitari (ossia i riformisti, italiani) erano oramai dell’idea di cambiare gradualmente il capitalismo mediante l’uso delle riforme e grazie al suffragio universale, nel quale riversavano una fiducia, se non una fede, sproporzionate. La posizione del SPGB era (ed è) chiara in merito: se la maggioranza dei lavoratori non concepisce la produzione sociale (e quindi non è organizzata per essa) non potrà attuare la rivoluzione del sistema socio-economico per mezzo della presa del potere politico. Tale rivoluzione socio-economica attuata da parte della maggioranza dei lavoratori organizzati e addestrati alla produzione sociale sarà democratica. Quindi niente evoluzionismo. Questo ci differenzia dai riformisti-revisionisti, come anche niente salti, niente minoranze o leader illuminati, e questo ci differenzia dai rivoluzionari-centralisti.           
Storicamente, in sostanza, i risultati, e il peso, dei "minimalisti", e degli impossibiliti, furono così marginali, che si tende a dimenticare quello che di buono, talvolta "profetico", la loro analisi a caldo conteneva, e contiene. Per gli anni a venire la bolscevizzazione del Partito Comunista prima, e di quello Socialista poi, egemonizzò il pensiero della maggioranza della classe lavoratrice di sinistra. Questo portò in classico stile bolscevico a cancellare ogni critica, che venisse dalla "destra" e dalla “sinistra” marxista. Il nazional-comunista Palmiro Togliatti fu la personificazione, in Italia, di questa censura, e distorsione, con la sua esaltazione di un certo Gramsci e la distruzione di voci come quelle di Turati, Treves, Rodolfo Mondolfo, ma anche socialisti come Lelio Basso, Angelica Balabanoff, e leninisti come Bordiga, Onorato Damen, Ottorino Perrone, e Pietro Tresso, quest’ultimo addirittura fisicamente eliminato dagli stalinisti.
Quando l’Unione Sovietica non poté più essere difesa neanche dal punto di vista ideologico più bieco, allora si incominciò ad addossare tutte le colpe a Stalin, che nonostante fosse stato un dittatore sanguinario, fu tra la maggioranza degli incerti in merito all’insurrezione d’Ottobre, spinta principalmente da Lenin.
Per la sinistra comunista italiana, il discorso della deviazione della rivoluzione russa fu un po’ più intricato, in quanto ammetteva e ammette sì la rivoluzione politica in Russia, ma ad un certo punto non quella economica. E fu anche, come visto, altrove, forte oppositrice della bolscevizzazione del Partito Comunista d’Italia.      
Infine, nonostante il lunghissimo strascico devastante dell’influenza del leninismo sul socialismo marxista, bisogna dare del credito a Lenin come marxista. Lenin era di sicuro un “blanquista”, ovvero credeva che una minoranza, regolata da una rigida disciplina, potesse rivoluzionare il sistema sociale, che secondo lui doveva passare per il Capitalismo di Stato, ma come si è visto in queste ampie citazioni, fu molto più realista di altri leninisti, o dovremmo dire “blanquisti” per coerenza. Purtroppo, l’identificazione del marxismo col leninismo, che io continuerei a chiamare “blanquismo”, non fece che dar credito agli anarchici bakunisti, della Prima Internazionale, che criticavano in Marx l’eccessivo autoritarismo centralista. Il marxismo è ben altro che autoritarismo, ma spiegalo un po’, dopo che il leninismo è diventato l’emblema del marxismo.   
Cosa impariamo dalla rivoluzione di ‘Ottobre’ quindi? Che la rivoluzione del sistema economico-sociale non fa salti, si deve basare sul massimo sviluppo delle forze produttive capitaliste. Che non può che essere globale e instaurata dalla maggioranza della classe lavoratrice cosciente. Che per quest’ultimo motivo la classe lavoratrice deve vincere l’egemonia culturale della classe dominante e prendere coscienza. La rivoluzione non è né violenza anarchica né un graduale processo di riforme del capitalismo.
Solo oggi incominciamo ad intravedere il pieno potenziale del sistema capitalista applicato a livello globale, con la Cina, l’India, il Medio Oriente in forte sviluppo. Allo stesso momento, vi sono parti nel mondo ancora ai primi passi verso questo processo. Il capitalismo del XXI secolo non ha ancora risolto le sue contraddizioni, nonostante quanto sostengano le svariate creative formulazioni degli economisti asserviti alla classe capitalista. Le contraddizioni del capitalismo sono sempre più evidenti: ricerca del massimo profitto a scapito dell’uomo e dell’ambiente, guerre di interesse commerciale e strategico, terrore, disoccupazione, immigrazione di massa, propaganda di regime, sistema di educazione conformato al pensiero piccolo borghese, povertà, e disparità economica.
Secondo il Movimento Socialista Mondiale la via di uscita c’è, ed è un processo sulle spalle di tutti noi lavoratori, organizzati al di fuori del sistema capitalista, in modo davvero democratico, quindi senza capi o condottieri.


Lavoratori di tutto il mondo unitevi! Da perdere avete solo le vostre catene!  

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